Nato a Monaco di Baviera nel 1911 da genitori friulani, figli di emigrati in Germania dove il nonno aveva avviato un’attività di impresario edile, A. rientrò in Italia nel 1916 per stabilirsi a Tarcento ed è lì che, nel corso degli anni Trenta, decise di dedicarsi alla pittura sotto l’influsso delle interpretazioni di certo novecentismo ufficiale ben documentato nell’Autoritratto (collezione privata) realizzato nel 1936. Durante il servizio militare conobbe il pittore cadorino Fiorenzo Tomea, da cui mutuò l’attenzione per un dato naturalistico scarno ed essenziale come testimoniano le nature morte e le composizioni di fiori eseguite intorno al 1940, anno a cui si suole datare l’inizio della sua personale attività espositiva. Negli anni immediatamente successivi, l’esperienza della brutalità della guerra e la partecipazione al movimento della Resistenza gli permisero di sviluppare un linguaggio artistico virato di umori espressionisti di matrice nordica che ben si prestano ad interpretare, in dipinti come Dopo la fucilazione o Memorie della Resistenza, opere entrambe risalenti al 1945, gli aspetti più drammatici del secondo conflitto mondiale e gli esiti cruenti e tragici della lotta partigiana combattuta in queste terre. Al termine del conflitto, nel 1946, A. sottoscrisse, insieme a Ugo Canci Magnano e a Luigi Rapuzzi, il Manifesto per un’arte classica moderna, cui aderirono in seguito anche Edoardo Devetta, Giuseppe Zigaina, Virgilio Guidi e lo stesso Tomea con lo scopo di superare, nella resa pittorica dell’immagine, ogni superficiale effetto atmosferico di tarda ascendenza impressionista per tornare ad attingere ad una visione classicamente moderna ed in ultima analisi oggettiva della realtà. Nel corso del decennio successivo aderì al neorealismo pittorico di cui divenne uno dei massimi esponenti a livello locale. A quest’epoca risale, ad esempio, la Spigolatrice (Udine, Galleria d’arte moderna) dove la figura terragna della donna lascia trasparire con immediatezza il messaggio di denuncia sociale ad essa collegato. Nei primi anni Sessanta la sua pittura si rivestì di echi surreali e grotteschi, abbandonati successivamente in favore di una immersione totale nella natura e nel paesaggio, ormai quasi sfaldato nel colore. L’ultima parte della sua produzione, invece, appare incentrata nuovamente sulla figura umana, rappresentata attraverso il recupero di una vena dichiaratamente bruegheliana e finalizzata ad esprimere soprattutto inquietudini esistenziali di tipo spirituale. A. morì a Tarcento nel 2000. (testo di Vania Gransinigh)
Anzil, a cura di Marco Goldin, Milano, Electa, 1995 Consulta OPAC
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Sgorlon Carlo, Ermes Dorigo, Il Dante di Anzil, Udine, Moro, stampa 1998 Consulta OPAC
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I personaggi di Anzil a cent'anni dalla sua nascita, a cura di Stefano Chiarandini, Alice Collavin, Elisa Volpetti, [S.l. : s.n., 2012?] Consulta OPAC
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