Fotografo e artista, è considerato il padre del fotogiornalismo italiano e il precursore dei paparazzi. Nato da una famiglia cosmopolita (nonno francese, nonna inglese) a Vittorio Veneto il 1° gennaio 1888, il padre muore quando Adolfo ha nove anni. In seguito al trasferimento della famiglia a Roma, al ragazzo si interessa il padrino Ottorino Raimondi, che all'epoca era corrispondente per il Corriere della Sera. Nel 1906 Raimondi passò al Messaggero e cominciò a servirsi dell'allora diciottenne Adolfo mandandolo in giro per il Lazio a scovare notizie. L'apprendistato di Porry Pastorel comincia proprio in questo modo, cercando di "fotografare" con la mente prima che con la macchina ciò che di inusuale accadeva intorno a lui. Viene mandato dal padrino in Germania a studiare tecnica di fotoincisione per la stampa di immagini sui giornali. Al suo rientro nel 1908 fonda l'agenzia V.E.D.O., acronimo di "Visioni Editoriali Diffuse Ovunque" e, per pubblicizzare l'agenzia, regala a molte signore uno specchietto da borsa e ai signori, tra i quali molti vigili urbani, un orologio da tasca; entrambi gli oggetti recavano incisi la sigla F.O.T. (fotografa ovunque tutto) e il numero di telefono dell'agenzia, con richiesta di chiamare subito qualora si fosse testimoni di fatti particolari. Quando Raimondi assunse la direzione della rivista La Vita, Alberto Bergamini, direttore del Giornale d'Italia, offrì a Porry Pastorel un contratto senza esclusiva; da questo momento la sua attività si sviluppa in tre direzioni: la rivista del padrino, il Giornale d'Italia e l'agenzia V.E.D.O.. Inizia così una lunga carriera, che lo porta a divenire il maggior testimone della vita romana e nazionale dagli anni Dieci sino al primo dopoguerra, autore degli scatti che immortalavano i divi e la borghesia dell'epoca, ma anche di foto divenute celebri e specchio del proprio tempo. Durante la grande guerra, esegue numerosi reportage dal fronte, anche a Vittorio Veneto, nel 1918, dove torna per la prima volta dopo la morte del padre. Dagli anni Venti Porry Pastorel ebbe un'assidua frequentazione professionale con Mussolini, uomo del momento, che non comportò mai anche a un'adesione politica al fascismo da parte del fotoreporter; dal canto suo Mussolini riconosceva a Porry Pastorel doti di eccellenza nel lavoro, per cui sopportò la libertà di pensiero e l'indipendenza ideologica con cui il giornalista gli si poneva. Oltre alle foto che documentavano eventi importanti e a quelle di pura propaganda, Pastorel scattò al duce e alla sua famiglia foto private, in occasione di ricorrenze famigliari; arrivò inoltre a scattare foto "rubate", alcune delle quali irritarono non poco Mussolini. Molte di queste foto, che non furono pubblicate, vennero poi "donate" al duce accompagnate dalla frase: "un cadeau dalla ditta Pastorel". In effetti, il suo stile lo porta a riprendere il "dietro le quinte" e le situazioni più spontanee e imprevedibili piuttosto che alla realizzazione di fotografie posate. A questo scopo allestì in un furgoncino un vero e proprio laboratorio fotografico mobile nel quale poter sviluppare le foto immediatamente dopo averle scattate e, per spedire poi i rullini al giornale in tempo reale, ricorse ai piccioni viaggiatori, per i quali aveva una particolare predilezione. Insieme all'amico "Calamita" modificò la sua macchina fotografica Leika in modo da poter cambiare più velocemente la pellicola; fu un antesignano della telefotografia, pur senza abbandonare mai i piccioni, ed un precursore della fotocopia. Ha partecipato con le sue fotografie artistiche alla XLVI Esposizione internazionale d'arte di Venezia. La sua attività di fotografo si arresta negli anni del Secondo dopoguerra. In seguito, è stato sindaco di Castel San Pietro Romano dal 1952 al 1960, anno della sua morte, avvenuta il 1° aprile.
La produzione fotografica di Pastorel fu immensa: si parla di circa 9 milioni di scatti. Pastorel tenne sempre una accurata catalogazione del lavoro prodotto dalla sua agenzia, che con il tempo si era arricchita di numerosi validi collaboratori. Quando l'attività cessò, l'agenzia vantava un archivio tanto esteso quanto organizzato, che in gran parte restò alla famiglia. Molte tra le immagini più rappresentative vennero donate da Pastorel a Tullio Farandola, fotografo dell'Istituto Luce che da qualche tempo era in contatto con l'agenzia. Molti bravissimi fotografi si formarono nell'agenzia V.E.D.O., uno tra tutti Tazio Secchiaroli, che ispirò a Fellini il personaggio di Paparazzo nel film "La dolce vita". Secchiaroli parlò sempre di Porry come del più grande fotografo italiano degli anni del fascismo, nonché maestro e punto di riferimento per tutti coloro che fecero della fotografia una professione.
Bibliografia
Colasanti Vania, Scatto matto : la stravagante vita di Adolfo Porry-Pastorel, il padre dei fotoreporter italiani, Venezia, Marsilio, 2013 Consulta OPAC
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