Catalogo dei beni culturali
Musei civici del comune di trieste
Adriano de Rota nasce il 28 agosto 1917, quando Trieste è ancora sotto la dominazione asburgica e infuria la prima guerra mondiale, da Ezio de Rota e Antonia Gottardo. Il padre, di nobili origini, nasce a Pola il 2 ottobre 1879 e, dopo un primo apprendistato in Istria, si trasferisce a Trieste nel 1903, dove gestisce uno studio fotografico in via Largo Barriera 27. Inizialmente lo studio è collocato all'ultimo piano dell’edificio, con ampie vetrate per consentire le riprese migliori grazie alla luce naturale. Nel corso degli anni, l’atelier si amplia anche al primo piano e al pianoterra, in modo da evitare ai clienti il disagio delle scale. Lo spazio precedente viene dedicato esclusivamente allo sviluppo. Qui Adriano inizia a lavorare nel 1932, a soli 15 anni, per proseguire l'attività, anche dopo la morte del padre avvenuta nel 1952, fino all’età di 85 anni. Adriano opera sempre a Trieste, a eccezione di un periodo durante la Seconda guerra mondiale, quando lavora a Roma, in qualità di sergente fotografo, in un palazzo di viale XX settembre, per il SIM (Servizio di Informazione Militare), nell'ambito del controspionaggio e del servizio cartografico. Freneticamente in giro per la città, prima in bicicletta e poi in Vespa, scatta e documenta, completando il lavoro nel proprio studio: sale e scende, tra il pianoterra e il quinto piano, venti, trenta volte al giorno. Quando la Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste acquista l'archivio nell’anno 2000, questo consta di oltre quattrocentomila negativi su lastra e su pellicola. Ancora nel 2003, i Civici Musei di Storia ed Arte acquistano un ulteriore fondo fotografico dello studio de Rota, composto da negativi su vetro e pellicola, provini e positivi. Anche nell'archivio storico della Fototeca, che documenta l'attività istituzionale del Comune, sono presenti molti positivi del professionista. Mentre presso l'archivio fotografico del Civico Museo Teatrale Carlo Schmidl sono conservati i positivi degli spettacoli del Teatro Verdi, di cui de Rota è stato fotografo ufficiale. Purtroppo le foto antecedenti il 1946 sono state eliminate per volontà del padre Ezio, quando, nel maggio del 1945, le truppe di Tito si impadroniscono della città; anche la gran parte degli scatti familiari sono andati perduti in occasione di un allagamento del deposito dove erano conservati. Il patrimonio, depositato presso la Fototeca dei Civici Musei di Storia ed Arte e il Civico Museo Teatrale Carlo Schmidl, narra di luoghi, volti, eventi, momenti pubblici e privati della Trieste nel periodo 1946-1991. Sebbene Adriano de Rota sia tra i primi fotografi della città a cimentarsi con il colore, frequentando i corsi AGFA a Milano nel 1954, in esposizione sono prediletti gli scatti in bianco e nero, non solo perché più numerosi, ma anche perché meglio carpiscono, fissano e illustrano le suggestioni e le seduzioni della contemporaneità del fotografo. Adriano lavora per il Piccolo, per l'agenzia Italia, per la Gazzetta dello Sport e per il Calcio Illustrato, inoltrando a Milano le foto dalla Posta centrale. Lavora soprattutto per Il Piccolo Sera che lo informa tempestivamente di ciò che accade in città. Lo affiancano diversi apprendisti-collaboratori, con cui instaura un rapporto interpersonale schietto e rigoroso: a loro riesce a infondere l’amore per la fotografia e a insegnare l’importanza dell’organizzazione del lavoro, sempre mirato a soddisfare le esigenze della clientela. Non si stanca mai di sottolineare l’importanza dell’inquadratura e descrive il fotografo come il regista della scena. Affida ai giovani il compito di narrare per immagini, perdonando anche una qualità mediocre, ma pretendendo il risultato. Fulvio Bronzi, che lavora con de Rota tra il 1957 e il 1963, apprendendone il mestiere, ricorda: il servizio doveva essere portato a casa e se l’inquadratura era sbagliata si arrabbiava moltissimo. Pochi scatti ma significativi e da potersi vendere. La famiglia collabora: la moglie lo affianca nella conduzione del negozio dagli anni Sessanta, mentre le figlie corrono alla Posta per spedire le foto ai giornali o ritoccano i ritratti dei clienti. Anche la sorella Livia partecipa all’attività dell’atelier per lungo tempo. Nelle occasioni più impegnative, come le comunioni, tutta la famiglia viene coinvolta: la moglie nelle pose, le figlie in negozio per la consegna delle ricevute. La giornata inizia prestissimo: sveglia tra le 4 e le 5, per essere alle 6.30 già in laboratorio a ritoccare le foto su lastra scattate il giorno prima, procedere alla stampa, archiviare il lavoro concluso. L’attività di stampa termina alle 10.30, ma il fotografo de Rota continua a lavorare sino alle 23.30. Sempre presente ovunque ci sia un luogo o un volto da immortalare, un evento da illustrare. Nel laboratorio non vengono sviluppate solo le fotografie prodotte, ma alle 19.30 gli apprendisti ritirano i negativi di numerosi negozi commerciali della città, tra cui D’Avanzo e Fototecnica, per il servizio di sviluppo. Fulvio Bronzi definisce Adriano una macchina da guerra. Puntuale, non ammette ritardi e ai clienti di prestigio porta persino a casa i servizi fotografici. La domenica non è destinata al riposo, ma a fotografare soprattutto le attività sportive. Si muove in bicicletta. Non c’è tempo per vacanze o viaggi. Sono ammissibili solo brevi gite fuori porta con la moglie, in tandem o in Vespa munita di side car, a volte anche con la primogenita Marisa. Unica eccezione: una vacanza di dodici giorni in India con la moglie. La vita di Adriano de Rota, scomparso sulla soglia dei cento anni, si identifica con la sua professione di fotografo che consente a noi, curiosi visitatori o studiosi, di compiere un sorprendente viaggio tra immagini di personaggi noti o sconosciuti, luoghi, oggetti, costumi e tendenze di questa nostra città. Rilevante contributo alla costruzione della memoria civica e alla sua connessa fruizione. Un tesoro di grande valore composto da molti scatti noti, ma ancora di più inediti, da custodire, interrogare e valorizzare.