Catalogo dei beni culturali
Musei civici del comune di trieste
Alla Biennale di Venezia del 1954 questo polimaterico è stato esposto nella sala personale dedicata all'artista, accanto ad altri venti lavori eseguiti nel lungo arco cronologico che va dal 1914 al 1954; nella stessa occasione è stato acquistato (per la somma di 180.000 Lire) dal Museo Revoltella – assieme alle opere di Moreni, Corpora, Castelli e a uno studio di Spazzapan – secondo una politica museale di acquisti indirizzata prevalentemente verso la tendenza non figurativa dell'arte italiana. L'opera è firmata e datata in basso a destra “E. PRAMPOLINI 53-54”, ma è stata finora pubblicata con datazioni diverse, riferite tanto al 1953 quanto al 1954, poiché l'inventario del museo riporta la prima data, mentre il talloncino della Biennale - posto a tergo dell'opera - e una scritta autografa, rinvenuta dietro la riproduzione fotografica del suo archivio privato (come riferisce Menna in Prampolini, 1967, p. 253), la datano 1954. Non sembra, tuttavia, casuale il fatto che l'artista abbia riportato in calce all'opera la datazione 1953-54, intendendo forse far rilevare che essa è il frutto di un lungo lavoro di progettazione compositiva, documentato dai suoi due ultimi quaderni di studio (oggetto di una mostra organizzata nella galleria privata d'arte moderna “SM 13”, di via Margutta a Roma, tra il marzo e l'aprile del 1969). Nel primo dei due taccuini – che reca sulla copertina l'iscrizione autografa “Capri – Roma – 1953-54” – sono stati eseguiti, a matita nera o colorata, 466 minuscoli progetti (spesso non più grandi di un francobollo) di pitture da cavalletto, mentre nel secondo – che riporta la dicitura “Capri – Roma – 1953-54-56” e s'interrompe in corrispondenza alla data della scomparsa dell'autore, nel giugno del 1956 – vi sono 450 bozzetti di piccole dimensioni di opere in gran parte mai realizzate. Tali taccuini sono importantissimi per comprendere l'iter creativo dell'ultimo Prampolini, poiché dimostrano che “il suo modo di pensare un quadro era quello di impegnarsi attraverso una serie di sequenze, variando e semplificando per rendere sempre più significante l'immagine successiva, fino a raggiungere una perfetta proporzione fra gli elementi compositivi, tale che potesse reggere a tutti gli attacchi del suo acuto spirito critico” (M. Conte, Presentazione della mostra “Prampolini. Gli ultimi taccuini di studio 1953 – 1956”, Roma, SM 13, 1969). In questa, come nelle altre opere dipinte da Prampolini nel secondo dopoguerra, le tematiche cosmiche e le ricerche polimateriche – derivate dalle sue esperienze nell'ambito dell'aeropittura futurista e nei gruppi parigini non figurativi “Cercle et Carré” e “Abstraction-Création”, tra gli anni '20 e '30 – confluiscono in un linguaggio maggiormente attento alla forma geometrica dei campi cromatici e all'impaginazione degli stessi, al fine di dare all'opera d'arte un equilibrio ritmico-spaziale che le permette di esistere autonomamente, come un organismo dotato di leggi proprie. Anche la materia – nel caso in esame la sabbia, che ritroviamo nella campiutura in basso a sinistra e mescolata all'olio nella zona marrone - è “parte integrante della composizione polimaterica, i cui elementi formativi tendono a esprimere la continuità nella discontinuità, la dissonanza e l'assonanza di rapporti. Rapporti che, operando per contrasto, non valgono esclusivamente per la forma “dell'elemento-oggetto”, quanto per la presenza biologica della materia stessa”. (E. Prampolini, in Arte Polimaterica, Collana “Anticipazioni”, n. 7, O.E.T. Roma, Edizioni del Secolo, 1944). Anche Giuseppe Ungaretti, nel presentare la sala personale dell'artista alla Biennale di Venezia del 1954, ha evidenziato come, nella sua ultima produzione, “le tensioni, le dissonanze, le irradiazioni, le esplosioni, ogni violenza” trovino una superiore armonia nell' “infinita misura delle linee di forza” e “nel valore d'innovazione della materia che i rossi, che i gialli, che i bianchi, che i viola – l'uso stupefacente di tutto il giuoco degli innumerevoli neri – che i colori non più colori ma polpa stessa della materia affermano colmi di poesia”. (G. Ungaretti, in XXVII Esposizione Biennale…, cat. mostra, Venezia 1954, pp. 127).
Il Museo Revoltella di Trieste, a cura di Maria Masau Dan. Vicenza : Terraferma ; Trieste : Museo Revoltella, 2004, pp. 208-209