Catalogo dei beni culturali
Musei civici del comune di trieste
La scena comprende tre personaggi: due lottatori ignudi, uno dei quali, mascherato da un elmo, è a terra e sta per essere colpito dall'altro, che lo afferra saldamente per un braccio mentre con l'altra mano brandisce il pugnale; il terzo è un giudice vestito di una toga bianca che dietro a loro osserva impassibile il duello. "Immobile, impassibile e privo di colore, contrasta con il dramma in atto e, assimilandosi a una statua, sembra voler rappresentare l'impassibilità e l'indifferenza del tempo nei confronti delle azioni degli uomini, l'inutilità della loro lotta per la vita." (De Chirico 1998, p. 128). La torsione dei corpi e la circolarità del movimento sono sottolineate dalla piattaforma su cui si svolge il combattimento e dalla linea curva che chiude lo spazio sulla destra alludendo ad un'arena. Il rilievo plastico dei corpi è ottenuto con un sapiente gioco di contrasti luminosi che derivano da un fitto tratteggio incrociato.
Benchè ignorato a lungo dalla critica che si è occupata di de Chirico, come sottolinea P. Baldacci nell'introduzione al catalogo della mostra di Villa Panza di Biumo del 2003, il tema dei Gladiatori, affrontato per la prima volta nel 1982 da Maurizio Fagiolo dell'Arco, rappresenta invece “uno dei più ricchi di significato e densi di implicazioni di tutta la sua pittura”. Si sviluppa in due fasi: la prima, che va dal 1927 al 1929, si articola in una sessantina di dipinti eseguiti a Parigi, dove de Chirico si era trasferito nel 1925; alla seconda, compresa tra il 1930 e il 1933, appartengono circa quindici opere che rappresentano varianti o repliche eseguite soprattutto per l'Italia, giacchè l'artista, anche per ovviare alla crisi del mercato francese, in questo periodo si riavvicinò ai galleristi e ai collezionisti italiani, molto interessati a recuperare il tempo perduto della sua assenza. L'opera del Museo Revoltella, acquisita in occasione di una permuta effettuata nel 1936 con la Galleria Trieste (che, in cambio di sedici dipinti dell'Ottocento, oltre all'olio di de Chirico, valutato 3.000 lire, cedette al museo un paesaggio di A. Tosi, un bronzo di A. Martini e uno di Medardo Rosso), si colloca in questo secondo gruppo e, a sua volta, fa parte di un piccolo nucleo di quattro varianti della composizione che de Chirico aveva proposto col titolo Gladiateurs et arbitre nel 1927, pubblicata poco dopo nella monografia di Waldemar George (Parigi, 1928). Una delle quattro versioni, di dimensioni leggermente inferiori, si trova nella Collezione Astaldi ora di proprietà della Galleria d'arte moderna di Udine. La scena comprende tre personaggi: due lottatori ignudi, uno dei quali, mascherato da un elmo, è a terra e sta per essere colpito dall'altro, che lo afferra saldamente per un braccio mentre con l'altra mano brandisce il pugnale; il terzo è un giudice vestito di una toga bianca che dietro a loro osserva impassibile il duello. “Immobile, impassibile e privo di colore, contrasta con il dramma in atto e, assimilandosi a una statua, sembra voler rappresentare l'impassibilità e l'indifferenza del tempo nei confronti delle azioni degli uomini, l'inutilità della loro lotta per la vita.” (M. Fagiolo dell'Arco, De Chirico. Gli anni trenta, cat. mostra, Verona, 1998-99, p. 128). La torsione dei corpi e la circolarità del movimento sono sottolineate dalla piattaforma su cui si svolge il combattimento e dalla linea curva che chiude lo spazio sulla destra alludendo ad un'arena. Il rilievo plastico dei corpi è ottenuto con un sapiente gioco di contrasti luminosi che derivano da un fitto tratteggio incrociato. Sulla fonte che ispirò a de Chirico il tema dei gladiatori, gli studi recenti (Baldacci, 2003) hanno dato un importante contributo per fare luce su quello che per lungo tempo è apparso come un enigma, anche per voce dell'autore stesso che nel suo capolavoro letterario, Hebdomeros, le peintre et son génie chez l'écrivain, pubblicato nel 1929, descrivendo un incontro con due personaggi di questo tipo fa esclamare al protagonista “Gladiatori! Questa parola contiene un enigma”. Le ipotesi proposte ora sono varie ma tutte convincenti: se è abbastanza facile rintracciare nei manuali di archeologia consultati da de Chirico (Reinach) e in particolare nelle riproduzioni dei mosaici di Villa Borghese o di quelli dei Musei Vaticani provenienti dalle Terme di Caracalla i modelli per le figure degli arbitri togati e dei gladiatori, è chiaro anche che in questo tema egli riversa non solo la sua cultura classica e una profonda conoscenza delle tecniche antiche di combattimento, ma anche molti spunti tratti dall'attualità. Si sa che assieme al fratello Alberto Savinio frequentava gli incontri di pugilato e di lotta che si svolgevano nei circhi parigini, ma probabilmente era anche a conoscenza del fatto che nel Parco di Vincennes venivano organizzati “combattimenti gladiatorii” fra soldati dell'esercito francese. Ed è anche verosimile che sia stato influenzato dal cinema, per il quale aveva un particolare interesse: in quegli anni circolavano diverse pellicole ispirate alla storia romana. Così come, scavando nelle relazioni di de Chirico con il mondo artistico parigino, si può trovare una sua probabile fonte nelle Corride di Picasso databili attorno al 1922-23, suggestive immagini di lotta ambientate in un'arena, con grovigli di uomini e animali. Ma c'è anche un'interpretazione in chiave psicanalitica dell'insistenza di questo tema nella produzione pittorica di de Chirico della seconda metà degli anni venti, ed è basata sulla totale censura che nella famiglia d'origine del pittore veniva esercitata nei confronti delle armi, della violenza e della sessualità, come racconta egli stesso negli scritti autobiografici. Secondo F. Ravera (Dipingere sogni. Una lettura psicanalitica dei Gladiatori di Giorgio de Chirico in Giorgio de Chirico Gladiatori 1927-1929, cat. mostra, 2003, p. 51) “l'ambiente familiare di de Chirico sembra aver costituito un'efficace combinazione di fattori capaci di ostacolare l'evoluzione della personalità: puritanesimo, fobie, tirannide materna aggravata dalla vedovanza, lontananza affettiva della madre…” per cui la ripetizione quasi ossessiva dei gladiatori potrebbe rappresentare la liberazione di pensieri repressi e la rivelazione di quell'attrazione per la violenza fisica che l'artista, ammettendo di vergognarsene, confessa indirettamente attraverso il racconto fantastico, ma largamente autobiografico, di Hebdomeros. De Chirico espose un'opera intitolata Gladiatori alla Biennale di Venezia del 1932, l'anno di probabile esecuzione del dipinto del Museo Revoltella, ma non vi sono appigli per affermare che si tratti della stessa opera. In quell'occasione Gino Severini, presentando l'artista nel catalogo, scrisse: “L'arte di De Chirico era un tempo formata da aspirazioni metafisiche e da elementi culturali più che da un senso dell'umano. Egli seppe, però, in modo chiaro ed autentico realizzare una certa unione fra la nostalgia delle bellezze passate e il bisogno di esprimere alcuni stati interni della vita moderna. (…) Ed ora De Chirico è tutto intento a nutrire la sua arte di elementi nuovi di realtà e di umanità e già si è constatata nelle sue opere una ‘forma' forse meno fastosa ma più umana e strettamente pittorica.”
Il Museo Revoltella di Trieste, a cura di Maria Masau Dan. Vicenza : Terraferma ; Trieste : Museo Revoltella, 2004, pp. 132-133