Catalogo dei beni culturali
Musei civici del comune di trieste
Agli inizi del secolo sia la Spagna Bianca solare e ventilata di Sorolla, sia quella Nera della Castiglia di Zuloaga, nel loro divergente stile pittorico proponevano un rinnovato realismo, sano e robusto, che metteva in discussione lo stile lezioso dei pittori seguaci di Fortuny. Il sivigliano Gonzalo Bilbao si pone, con questo quadro, in dialogo tra lo stile dei due celebri artisti, e sceglie scorci di vita popolare. Le grandi dimensioni de "La esclava", ribadite dalle figure ad altezza naturale e in un primo piano ravvicinato, la cromia calda e soffusa proprio da ovattato interno di postribolo, ne fecero l'attrazione della sala centrale alla VI Biennale veneziana. Ai visitatori abituali della mostra, come Mario Pilo, apparve più attraente dei ritratti del Laszlò e di quelli di un caposcuola francese in questo genere come Carolus-Duran, che esponevano nella stessa sala. Pica, il critico di fine intuito internazionale, lodava l'efficacia rappresentativa della tavolozza, del tratto fluido e formale di Bilbao non perdendo occasione per condannare lo zuccherato e mercantile fortunismo superato finalmente in Spagna da una nuova vena realista e corposamente sintetica. "...è una di quelle opere che si impongono subito a tutti, ed il cui successo è destinato a crescere dal primo all'ultimo giorno d'una esposizione" (Pilo, 1906, p.4). "La esclava" piaceva anche ai moralisti, solitamente infastiditi da temi di questo genere, poiché contro uno sfondo policromo e uniforme "di stracci variopinti e chincaglierie dozzinali", che raccoglie "tutto un campionario delle sottospecie": "le inconsce, le sfrontate, le ciniche, le bramose, le degenerate" - secondo un modulo compositivo che è anche di Zuloaga -, vedevano nel rilievo dato alla derelitta, invasa da luce tenue e calda alla Sorolla, una monumentale condanna. Il quadro invece a Siviglia non era stato accolto favorevolmente, per il tema indecoroso esaltato da tanta fermezza e abilità di pittura. Per questo forse Bilbao, prima di mandare "La esclava" a Venezia, attenuava la scena coprendo un bambino che giocava per terra in basso a sinistra, così da eliminare lo stridore del contrasto tra l'innocenza ignara e la voluttà del luogo. Aiutati dalla riproduzione fotografica della prima versione, che compare riprodotta sull' "Illustrazione Italiana", si intravede l'ombra del pentimento, la causa desolante dello sguardo materno afflitto. Crudo destino per l'innocenza entrare in quell'ambiente equivoco, "onde era più evidente l'antitesi tra peccato e condanna morale" (Fontana, 1905, p.60). Gli occhi cerchiati di bistro e iniettati di rosso, la curvatura morbida della chioma corvina, sono gli stessi caratteri delle gitane di Zuloaga, ma se il pennello di Bilbao vi indugia suscitando una vena di sentimentalismo, quello di Zuloaga pur di segno ampio costruisce invece con secchezza di sintesi. Non c'è qui traccia dell'efficacia rappresentativa che diventa simbolica di un popolo e di particolari ideali del pittore basco, come notarono i più avveduti alla VI Biennale che ospitava con il quadro di Bilbao anche due di Zuloaga. La pittura pastosa trattiene la luce di Sorolla, e in certe marezzature delle stoffe dove i colori si sfaldano in toni complessi affiorano arabeschi decorativi alla maniera di Anglada Camarasa. Questa varietà di connotazioni dava spunto agli scettici, nelle cronache triestine, per porre nel novero degli acquisti criticati alle Biennali per il Revoltella, il quadro "impuro e poco originale" (Fabbro, "L'Indipendente", 6 gennaio 1906). Ed era stato tra l'altro l'acquisto più costoso del 1905 (ASAC, SN 21, 1905). La Biennale precedente aveva rivelato al pubblico italiano il forte carattere dello stile di Zuloaga e l'arte spagnola pareva, dopo quella scoperta, un riflesso di quel modello. Thovez pur giudicando il quadro di Bilbao il meno servile lo pone tra gli 'imitatori'. L'innegabile affinità delle scene popolari dei due artisti aveva risvegliato anche in patria la cuestiòn Zuloaga-Bilbao. Una "minuscola diatriba", tuttavia, a detta del più esperto biografo di Zuloaga, Enrique Lafuente Ferrari, che non dovette intaccare l'amicizia tra i due artisti. Sebbene Bilbao fosse più anziano di dieci anni e quindi si fosse prima accostato a quella tendenza chiamata 'modernismo' in Spagna, che scopriva nella tradizione da Velazquez a Goya motivi di rinnovamento, come la solidità formale e cromatica, il giovane Zuloaga ebbe agli inizi del secolo un repentino successo internazionale grazie al suo formidabile sintetismo. Così con Bilbao, che era stato ospite alle prime due Biennali, la segreteria dell'esposizione nel 1905 riprese contatti proprio per tramite di Zuloaga, l'amico cosmopolita che aveva recentemente stretto rapporti con la Biennale (ASAC, SN 22, 1905). E mentre il sivigliano in seguito perse interesse nella volumetria ampia di figure di carattere simbolico, nel cui genere si era affermato il suo giovane amico, per tradurre sulle tele piuttosto "l'anima collettiva e individuale del variopinto mondo sivigliano", descrivendo ad esempio ne "Las cigarreras" una galleria di attitudini che nella composizione aperta e tumultuosa evoca "Le filatrici" di Velazquez, d'altro canto nell'intenso ritratto che Zuloaga eseguì nel 1908 della cantante Lucienne Breval nella Carmen ci è parso scorgere un omaggio a "La esclava" certo vista a Venezia. Lo sguardo diretto e di mestizia, il gesto così mollemente abbandonato del mento che poggia sulla mano, le chiome gonfie, imparentano le due donne nella virtuosità pittorica dei due artisti. Forse a Zuloaga era piacuito questo quadro, che Bilbao scriveva avrebbe rivoluto alla svelta a chiusura dell'esposizione per mandarlo al Salon (Bilbao, 31 gennaio 1905, SN 22, ASAC).
Il Museo Revoltella di Trieste, a cura di Maria Masau Dan. Vicenza : Terraferma ; Trieste : Museo Revoltella, 2004, pp. 114-115