L'asceta

Nathan, Arturo

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Oggetto
dipinto
Inventario
REV003767
Collocazione
Museo Revoltella - Galleria d’arte moderna ; REV
Acquisizione
donazione; Hausbrandt, Roberto, dottor; 1963
Cronologia
1927
Dimensioni
cm; altezza 54; larghezza 45
Materia e tecnica
tela/ pittura a olio

Per una lettura non superficiale di questo suggestivo autoritratto di Arturo Nathan – donato al Museo Revoltella, nel 1963, dal dottor Roberto Hausbrandt - sembrano imprescindibili alcuni richiami alla sua travagliata esperienza biografica. Nato da una cosmopolita famiglia ebraica triestina – la madre era triestina e di padre orientale (nato in India e vissuto in Cina) - Nathan conseguì la maturità classica a Trieste e venne mandato a Londra per intraprendere la carriera commerciale. Contro la volontà paterna, si recò a Genova, dove abbandonò l'attività impiegatizia per iscriversi alla facoltà di Filosofia. Nel 1914, in qualità di cittadino inglese, fu richiamato alle armi in Gran Bretagna e rientrò a Trieste solo nel 1920. Appresi i rudimenti pittorici dal concittadino Zangrando e dai corsi di Nudo del Circolo Artistico di Trieste, strinse amicizia con Carlo Sbisà, Giacomo Girmounsky e con i letterati Bobi Bazlen e Silvio Benco. Nel 1922, rivoltosi allo psicanalista di scuola freudiana Edoardo Weiss per curare una forma di “depressione non melanconica”, fu indirizzato da quest'ultimo all'espressione pittorica dei propri stati d'animo, su consiglio dello stesso Freud, che, interpellato dal giovane medico triestino per individuare la terapia più idonea a risolvere il caso di Nathan, aveva diagnosticato “una semplice fissazione materna, molto pronunciata” e aveva previsto che il paziente, identificando il medico con la figura paterna, avrebbe cercato di nascondere l'origine del proprio disagio (si veda in proposito il testo E. Weiss, Sigmund Freud as a Consultant, ed. italiana, Roma 1970, p. 52, anche in A.M. Accerboni Pavanello in Volti. Arte e psicanalisi…, p. 29). Sin dai primi lavori nella pittura di Nathan emerse l'ascendenza simbolista, arricchita di echi metafisici dopo l'incontro con Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, avvenuto a Roma nel 1925. Dopo la prima mostra personale - allestita con gli amici Léonor Fini e a Carlo Sbisà alla “Galleria Milano” di Milano, nel 1929 – espose più volte alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma e partecipò, tra il '29 e il '37, alle Mostre interprovinciali organizzate dal Sindacato fascista di belle arti. Nel corso degli anni Trenta presentò i suoi lavori a Firenze, a Vienna e a Budapest, ma, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali del 1938, essendo ebreo, gli venne negata la possibilità di esporre. Nel 1943 fu deportato a Bergen-Belsen e l'anno successivo fu trasferito a Biberach am der Riess, dove venne trovato morente dagli alleati nel novembre del 1944. Nella vicenda artistica di Nathan gli autoritratti rivestono un particolare significato, poiché documentano le varie fasi del suo lavoro di auto-analisi compiuto per mezzo dell'arte. Dopo l'Autoritratto ad olio del 1924 - nel quale, indossando un camice bianco sopra un classico abito con giacca e cravatta, sembrava voler dare un'immagine professionale di sé, nel 1925 disegnò L'uomo dagli occhi chiusi (presentato alla Biennale di Venezia del 1926) che, secondo una chiave di lettura psicanalitica, “indica una svolta nella sua analisi, perché (…) ci comunica di privilegiare la visione interiore, di essere approdato al proprio mondo interno di cui sarà espressione la sua arte e da cui lascerà praticamente fuori la realtà” (A.M. Accerboni, cit., p. 30). In seguito egli si rappresentò più volte nelle vesti di asceta, naufrago o esiliato (si vedano, in proposito, i disegni pubblicati nella monografia di J. Girmounsky, Arturo Nathan peintre, Artistes Italiens d'Aujourd'hui, Paris, Les Editions Arion, 1935). L'asceta è uno dei lavori più interessanti di Nathan, preceduto da un disegno a matita del 1926, riguardo al quale Vittorio Sgarbi ha rilevato: “E' chiuso in una cappa rigida come di marmo, un sudario inamidato in un'invenzione degna di Adolfo Wildt, con gli occhi che ci guardano allucinati, sbarrati” (Illusione e destino, Arturo Nathan, cat. mostra a c. di Vittorio Sgarbi, Milano, Fabbri Editori, 1992, p. 16, tav. 6). Nell'immagine che l'autore dà di sé convivono i rimandi occidentali e orientali, quasi a voler rappresentare simbolicamente le sue due origini. Al mondo orientale sembrano, infatti, riferirsi la solennità della posa, la fissità ieratica del volto e la foggia indiana della tunica, di cui l'autore ha lasciato intravedere il particolare del colletto. Mentre il nitore del segno, l'uso sapiente della luce e l'impostazione quattrocentesca del ritratto paiono riallacciarsi alla tradizione occidentale, rivisitata in chiave moderna attraverso la lezione dei Nazareni, dei Preraffaelliti inglesi (conosciuti durante il soggiorno londinese) e del tanto ammirato de Chirico, che intorno al 1923, nell'Autoritratto con Ermes, aveva puntualmente citato l'Annunciata di Antonello da Massina (M. Fagliolo dell'Arco, Il pittore allo specchio, p. 28, figg. 120, 121). A quest'ultimo sembra ispirarsi anche Nathan, che nel manto chiuso che funge da copricapo, nella posa della mani e nella bocca leggermente dischiusa sembra riprendere la Vergine annunziata del Museo Statale di Monaco di Baviera, mentre la fissità ipnotica dello sguardo, richiama il Salvator Mundi della National Gallery di Londra.

Bibliografia

Il Museo Revoltella di Trieste, a cura di Maria Masau Dan. Vicenza : Terraferma ; Trieste : Museo Revoltella, 2004, pp. 156-157

Il Museo Revoltella di Trieste, a cura di Maria Masau Dan, Vicenza, Terra ferma, 2004, pp. 156-157
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