Catalogo dei beni culturali
Musei civici del comune di trieste
Acquistato alla XVIII biennale veneziana assieme al quadro di Carlo Carrà, il Pastore di Sironi occupava, con altre sei opere dello stesso autore, una parete della sala 29. dell'esposizione internazionale del 1932. In quella occasione, accanto a due quadri di soggetto vedutistico (Cupola) e paesaggistico (Eremo), Sironi presentava opere come La famiglia, l'Incontro, Meriggio e La Pesca che, assieme alla possente figura del pastore del Museo Revoltella, costituiscono l'esempio della nuova interpretazione data dall'artista alla figura umana, a partire dagli inizi degli anni trenta. Infatti, il “gigantismo”, per così dire, di questo pastore, idealmente inscritto in una figura piramidale e posto tra montagne a lui simili per conformazione geometrica e cupa colorazione, preconizza l'inclinazione alla monumentalità delle opere decorative che, proprio a partire dal 1930, Sironi andava progettando. Appare evidente che il pittore ha qui perlomeno accantonato il concetto che sottende la composizione “da cavalletto” e, prescindendo da “considerazioni mercantili”, aspira alla “grandiosità” e ad una “specifica organizzazione delle spazio”. “Non più il riquadro conchiuso – spiega a tale proposito Baldacci – ma uno spazio ritmico in cui le figure e gli elementi decorativi possono dispiegarsi con una liricità nuova. […] ovunque vi sarà il segno di quello squartare e organizzare gli spazi, di quel pietrificare ogni cosa e tutto rendere solenne e calmamente tragico, che contraddistingue la sua nostalgia di un grandiosa monumentalità, la sua ambizione di farsi “storia” e “rovina”. (Paolo Baldacci, Teoria e Metodo di Mario Sironi, in Mario Sironi. Metodo e tecnica, cat. a cura di Francesco Meloni, edizioni Philippe Daverio, Milano 1984, s.p.) E riguardo ai mutamenti stilistici delle opere degli anni trenta Benzi esprime queste parole in occasione della mostra antologica romana del 1993 e specificamente indirizzate all'opera in esame: “Esposto nel 1932 alla Biennale di Venezia, mostra l'evoluzione avvenuta nel corso di pochi mesi: alla Quadriennale del 1931 le ultime opere erano marcate nella materia e nei contorni da una “turbolenza degna di un Rouault, […] [da] un'enfasi chiaroscurale secentesca” (Pallucchini, 1931). Nel gruppo di opere presentate alla Biennale compare una solidificazione dei contorni e dei chiaroscuri, un pacarsi delle paste pittoriche che da tumultuose e materiche diventano più levigate, trasparenti e modulate nelle tonalità. Tutto ciò va legato con i nascenti impegni monumentali di Sironi, e con la sua consapevolezza che l'espressionismo gestuale sviluppato tra il 1930 e il 1931 non poteva attagliarsi alle esigenze intrinseche allo sviluppo in grande dimensione: sia in senso tecnico, sia espressivo.” E conclude così: “Seppure il picassismo alla base di questo massivo personaggio è evidente, tuttavia l'interpretazione sironiana è completamente trasfigurante, e il mito del classico diviene in lui da termine estetico un presupposto etico, caricato di contenuti poetici e culturali.” (in Mario Sironi 1885-1961, cat. mostra a c. di Fabio Benzi, Electa, Milano 1993, p. 226, p. 227 [ill.]
Il Museo Revoltella di Trieste, a cura di Maria Masau Dan. Vicenza : Terraferma ; Trieste : Museo Revoltella, 2004, pp. 170-171