Catalogo dei beni culturali
Musei civici del comune di trieste
«L’abolizione della schiavitù! Concetto sublime da infiammare del sacro fuoco dell’arte la fervida mente d’un artefice in cui riflettonsi gli umanitari sensi di un’anima nobile e grande! La mente del Pezzikar concepì arditamente così sublime pensiero. Come egli ebbe lo abbia tradotto in atto con sapienza artistica, con studio, con filosofia, lo vedremo tosto. È la figura d’un negro americano dai muscoli pronunciati pel soverchio lavoro, che afferrato con mano febbrile il decreto abolizionista, si slancia anelo per dire agli uomini: son vostro pari! Questa statua, mirabilmente modellata e sestinata alla fusione in bronzo, fu già ammirata, nello studio di Pezzikar in via Amalia, dai molti intelligenti della città nostra. Contemplandola ieri con religione, non abbiamo potuto a meno di recriminare contro il tempo, all’abile artefice mancato, per condurla a termine prima d’ora. Sarebbe stato un peregrino lavoro di più fra i più belli dell’Esposizione di Vienna. Pazienza! L’opera del Pezzikar segna un grande progresso in statuaria: l’autore si staccò completamente dal classicismo, uniformandosi alla moderna aspirazione che vuole il vero in tutto e per tutto» («Il Cittadino», 1873). Queste le parole della cronaca del tempo per descrivere questa imponente figura con le braccia levate, le catene spezzate e il decreto abolizionista in mano (Libertà va cercando ch’è si cara). L’espressione è viva, con la bocca semiaperta che sembra stia per emettere un grido di gioia. «Il nudo è trattato che con sapienza anatomica, e la ciarpa che avvolge i fianchi – unico ornamento di quello schiavo, dal tipo rigorosamente fedele al vero – è con molto garbo e con non minor sobrietà composta» («Il Cittadino», 1873). Così veniva descritta la scultura nel 1873, anno della sua realizzazione, dalla cronaca del tempo. Un’opera che racconta i fatti di dieci anni precedenti e che viene riportata da Pezzicar con grande abilità. La grande statua in bronzo si situa fra i maggiori lavori realizzati dall’artista, e pur riscuotendo sin da principio grande ammirazione da parte della critica, rimane invenduta per molti anni, forse a causa dell’ostinazione dell’artista nel non voler ridurre il prezzo stabilito. Nel 1876 l’opera partecipa all’Esposizione Universale di Filadelfia e viene premiata con la grande medaglia d’oro.
Gregorat Susanna, Coslovich Barbara, La scultura. Museo Revoltella Galleria d'arte moderna, Trieste, 2022, pp. 216-217