Catalogo dei beni culturali
Musei civici del comune di trieste
Uccello atomizzato viene acquistato dal Museo Revoltella alla Biennale di Venezia del 1960, dove Fabbri espone in una sala personale. Le opere presentate in quell’occasione documentano la sua evoluzione stilistica negli anni del dopoguerra quando, segnato dall’esperienza tragica del fronte vissuta in Jugoslavia e dalla Resistenza, l’artista si oppose ad ogni forma di ingiustizia attraverso uno stile fortemente drammatico. Se la sua indole espressionista era già emersa nella produzione giovanile in terracotta policroma, realizzata ad Albisola nei laboratori di ceramica Tullio Mazzotti – quando lavorava affianco ad Arturo Martini, Aligi Sassu e Lucio Fontana e si ispirava a Giovanni Pisano e alla scultura del Trecento toscano – negli anni Quaranta e Cinquanta il suo linguaggio si fece più acre e poetico, sia nella scelta dei soggetti che nella resa stilistica. A partire dal 1956 recuperò la tecnica della fusione a cera persa ed espresse la sua visione apocalittica del mondo contemporaneo attraverso inquietanti figure in bronzo e in ferro, come animali mostruosi, streghe, uomini «spaziali» e «lunari» colpiti da un tremendo destino, carbonizzati dall’esplosione atomica, divorati dal vuoto e dalla morte. Le ottenne fondendo assieme rifiuti materici e scorie e con esse approdò ad uno stile intensamente drammatico, affine alla plastica informale di Franchina, Colla e Cascella. Stilisticamente vicine all’Uccello atomizzato del Revoltella, sono anche le altre diciannove sculture in bronzo esposte nella sala personale allestita alla XXX Biennale di Venezia, tra cui l’Insetto atomizzato (1957) del Wilhem Lembruck Museum di Duisburg, il Cane atomizzato (1957) del MART di Trento e Rovereto, la Cavalletta atomizzata (1957) del Museo Civico d’Arte Contemporanea di Milano, e l’Uomo atomizzato (1959) del Wilhelm-Hack-Museum di Ludwigshafen am Rhein. Di Uccello atomizzato esiste anche una versione di dimensioni leggermente inferiori, datata 1958. Fortunato Bellonzi, presentando l’artista nel catalogo della XXX Biennale di Venezia coglie alcuni aspetti essenziali del nuovo linguaggio plastico di Fabbri, nel quale la «crudezza» e la «pietà» diventano espressione «della protesta per la barbarie contemporanea e della fiducia nel diritto alla vita».
Gregorat Susanna, Coslovich Barbara, La scultura. Museo Revoltella Galleria d'arte moderna, Trieste, 2022, p.123