Catalogo dei beni culturali
Musei civici del comune di trieste
Il rilievo, in ottimo stato di conservazione, presenta all’interno di una semplice cornice (a toro e gola ravvicinati) un convenzionale trofeo d’armi antropomorfo, con le armi che rivestono una specie di fantoccio umano. Un tronco d’albero squamato (palma) dotato di un supporto trasversale (a simulare le braccia) sostiene una corazza anatomica terminante inferiormente in una fila di pteriges. Al posto della testa, in cima al tronco, è infilato un elmo con piccolo cimiero, ampie paragnatidi e visiera, del tipo detto “di Montefortino” (necropoli presso Ancona) che di origine gallica fu diffuso in ambiente centro-gallico ma venne usato anche presso l’esercito romano dalla fine del III sec. a.C. alla metà del I sec. d.C. Gli scudi appesi e accatastati alla base sono di forme diverse genericamente celtiche: ovale, esagonale allungata - anche decorati da folgori - e circolare. In alto dietro gli scudi si intravedono punte di lance. A sinistra si trova un barbaro vinto raffigurato in piedi di profilo che dà le spalle al trofeo, tiene il capo chino in segno di lutto e ha le braccia legate dietro la schiena in catene; a destra una donna rannicchiata e piangente in una silenziosa dignità di dolore. Le brache del primo e la tunica femminile che lascia scoperta una spalla sono riconducibili all’abbigliamento genericamente celto-germanico. I barbari non indossano torques o fibule che permettano di individuare una provenienza etnica certa. Il vigore del rilievo è accompagnato dalla sproporzione dei dettagli anatomici, come la grande mano dell’uomo e il corpo rattrappito e ridotto della donna, che sono espressione fisica dello stato di cattività dei due personaggi sui quali sovrasta, immobile e fatale il trofeo.
L’insistito patetismo dell’intenso gioco di linee ondulate delle capigliature, così come delle pieghe delle brache, astrattamente parallele, accentuano la tristezza e la frustrazione dei barbari vinti. Il disinteresse per l’esatta raffigurazione dei corpi umani, che appaiono piuttosto goffi, e l’uso del trapano unitamente a un certo gioco dei chiari scuri portano a proporre una datazione alla seconda metà del II secolo. Benché di produzione locale, il pezzo si ricollega ai rilievi del mausoleo o tropheum traiani eretto in in Ungheria durante la campagna di dacia, così come al nobile realismo della colonna traianea.
Lugnani C., Fregi d’armi di Trieste e di Pola, in AMSI 1987
Cromazio di Aquileia. Al crocevia di genti e religioni, catalogo della mostra Udine, 06/11/2008-08/03/2009, Milano, Silvana editoriale, 2008, p. 114,127, n. III.46
2000 jahre. Varusschlacht Mythos, catalogo della mostra, Landesverband Lippe 2009, p. 278, n. 6